Progetto prima guerra mondiale: parte 4
La prima guerra mondiale è da sempre un argomento che mi interessa particolarmente, non tanto dal punto di vista strategico-militare, quanto per l’impatto che ebbe sull’immaginario collettivo europeo e mondiale e gli strascichi che lasciò. Col tempo, ho messo insieme una (piccolissima) raccolta di libri, fra saggi e romanzi, sull’argomento. Nel primo centenario dello scoppio della guerra (1914-2014), mi propongo di leggerli.
Già letti in precedenza (e commentati qui): Bollettino di guerra, Plotone di esecuzione, I fogli del capitano Michel, Scritture di guerra, Ci rivediamo lassù, La paura, Compagnia K
Purtroppo, per svariati motivi, diverso tempo è passato dalla fine della lettura alla stesura di questo post, pertanto quel che sarò in grado di fare sarà, più che una vera e propria “recensione”, una specie di sintesi stringatissima dei temi trattati in questo saggio. Servirà alla mia memoria e spero comunque che, magari, invogli qualcuno a prenderlo in mano.
Partito da uno spunto “casuale” (l’essersi imbattuto, nel corso di ricerche presso l’Archivio storico della Provincia di Genova, in un fascicolo dal curioso titolo “Maniaci militari”), l’autore ha deciso di affrontare, in questo saggio uscito in prima edizione nel 1991 (un periodo in cui ancora, a suo dire, l’uso delle fonti “popolari” per lo studio della Grande Guerra era a uno stadio quasi pionieristico), il problema di perché, in quanti e quali sensi la prima guerra mondiale viene generalmente, e secondo lui correttamente, vista come una frattura che introduce l’umanità nel mondo “moderno”. Solo per le sue dimensioni planetarie, o anche perché determinò precise trasformazioni nel “mondo mentale”?
Alcuni “sintomi” e anticipazioni di quel che era di là da venire si ebbero, su scala minore, nel corso della guerra russo-giapponese del 1904-1905: che le guerre fossero sempre state cruente e distruttive, dei corpi dei combattenti e dell’ambiente naturale, è certo, ma per la prima volta davanti agli occhi di chi la visse e la raccontò (ad es. il celebre giornalista italiano Luigi Barzini) si scatenò la violenza di tecnologie capaci di avvicinarsi, e talvolta addirittura di sostituirsi agli sconvolgimenti di origine naturale quali terremoti e inondazioni. Ancora di più questo doveva avvenire nella guerra del 1914-18, i cui fronti, per i soldati assolutamente impreparati a quello spettacolo, furono incredibili e assordanti scenari dove il rumore del cannone era una presenza costante e i bagliori e gli scoppi interrompevano la naturale successione del giorno e della notte.
Guerra “moderna” e “nuova” anche per l’inusitata capacità di “invasività” nella vita del singolo: sebbene già fin dall’epoca delle guerre napoleoniche il potere coercitivo dello Stato si fosse fatto sempre più stringente, mai come ora le tradizionali forme di fuga e imboscamento, di renitenza alla leva, si dimostrarono estremamente difficili se non impossibili. Gibelli intende tuttavia il potere di “mobilitazione” dello Stato anche in senso “positivo”, e cioè con uno sforzo senza precedenti sulla propaganda.
Ma, soprattutto, l’autore sottolinea il carattere “moderno” del modello di soldato cercato e plasmato dalla guerra: una massa di combattenti “anonima”, forza bruta, non specializzata, adatta a compiti ripetitivi e i cui scopi ultimi, per i più, dovevano risultare poco comprensibili, in una parola quasi “bestiale”, in parallelo con il contemporaneo sorgere dei modelli di produzione del taylorismo e del fordismo, specialmente in USA.
Di fronte a una tale macchina, l’unica via di “fuga” per il singolo (e qui si ritorna al nucleo originario della ricerca) diventa “immaginaria”, più che reale: la follia, vera o simulata, del soldato, analizzata principalmente attraverso le testimonianze dei medici militari, i quali per altro sono più agenti del potere che terapeuti, visto che la loro preoccupazione principale è cogliere gli “indizi” della simulazione, che per noi, abituati a cercare un rapporto di collaborazione fra medico e paziente, suona paradossale (qui si può parlare piuttosto quasi di una “sfida” tra medico e paziente!).
In ultimo, guerra “moderna” anche per i mezzi usati per la prima volta per raccontarla: cinema e fotografia.
Antonio Gibelli, L’officina della guerra, voto = 3,5/5