Più di dieci anni: tanto ha dovuto aspettare questo libro dal momento in cui ne lessi una recensione sul Corriere della Sera (maggio 2003) a quello in cui finalmente l’ho preso dallo scaffale e letto (ottobre 2013). Al punto che ormai questa edizione che ho è fuori commercio.
Londra, 1938. Harry Fabian è un delinquentello di mezza tacca, sempre alla ricerca di modi per far soldi che poi puntualmente scialacqua subito in alcol, scommesse, bei vestiti e spesucce varie, vive sfruttando i guadagni della fidanzata-prostituta Zoë, si atteggia a “duro” sul modello dei gangster americani, ma in realtà chi lo conosce bene ride di queste pose alle sue spalle. Sembra che il suo moto perpetuo, le sue chiacchiere incessanti e la sua ostentata spavalderia servano più che altro a lui stesso per impedirsi di contemplare la disperazione della sua esistenza. L’ultima sua trovata è aprire una sala per combattimenti di lotta libera, per cui serve trovare un socio, mettere insieme un capitale, rimediare un campione sul viale del tramonto che si occupi di allenare i lottatori… Accanto a questa vicenda principale si collocano anche altre figure che entrano in contatto col nostro protagonista.
Non è stata però una lettura che mi ha coinvolto molto (un altro libro che mi aveva attirato anni e anni fa e che poi delude: come, ma meno clamorosamente, Gli Schwartz): interessanti il protagonista, Harry Fabian, e gli squarci sui tanti espedienti che i vari personaggi, dal trafficone Joe Figler dalle mille risorse alle entraîneuse che spillano soldi ai clienti ubriachi nei pub, mettono in atto per tirare a campare, suggestivo anche il capitolo sul combattimento sul ring, ma molti dei personaggi secondari (Adam, Helen, Vi) non avevano altrettanta capacità di tenere desta l’attenzione, a tratti le loro vicende suonavano quasi come un riempitivo o una distrazione dalla trama principale, o apparivano troppo scopertamente moraleggianti (specie le “tirate” dell’aspirante scultore Adam). L’epopea dei “perdenti” e di coloro che popolano la Londra più buia, sporca e meno “rispettabile” è senz’altro interessante, e questa ambientazione non è usuale, ma lo svolgimento mi è sembrato privo di mordente e un po’ dispersivo.
Oltre tutto, ho l’impressione che questo romanzo nella traduzione abbia perso parecchio: se una delle caratteristiche del protagonista era atteggiarsi a gangster americano, probabilmente ciò si sarà riflesso anche in un suo uso esagerato e parodistico di slang ed espressioni diverse rispetto agli altri personaggi londinesi, cosa impossibile da rendere in modo adeguato in italiano (me lo fa pensare il fatto che spesso Fabian dica “O-kappa” al posto di OK). Purtroppo temo che questo libro, che ha atteso per tanti anni “il suo momento”, sarà invece dimenticato in fretta.
Gerald Kersh, La notte e la città (trad. Anna Martini), voto = 2,5/5
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