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Il libro nero dei puffi

Io vorrei che tutte le persone che mi conoscono si arrendessero all’evidenza del fatto che non esiste regalo a me più gradito di un libro. Il problema però è: quale libro? Siccome ancora ho qualche pudore a utilizzare quello che invece è l’utilissimo espediente di far sapere in anticipo la propria “lista dei desideri”, in passato sono andata incontro a delusioni. L’ultimo compleanno, tuttavia, è stato molto positivo: la mia migliore amica si è ricordata di un libro di cui effettivamente qualche tempo prima le avevo parlato, mentre un altro carissimo amico, dei cui gusti mi fido molto, ha scelto autonomamente in libreria questo titolo, sperando che potesse interessarmi e divertirmi.

Si tratta di un tentativo di analisi “colta” applicata a un esempio della “cultura bassa” o “popolare”, cosa che ormai non ha più i caratteri della novità audace, anzi è un esercizio piuttosto di moda (la filosofia dei Simpson, di Lost, di Walking Dead, e chi più ne ha più ne metta). Non si sa mai bene come prenderli questi trattati: vogliono essere tentativi seri di ricerca, o l’autore si sta divertendo? Se fai sul serio e vuoi darci la tua analisi della “società dei puffi” dal punto di vista politico, perché “perdi tempo” all’inizio a illustrarci l’anatomia e la fisiologia del puffo, il suo sistema riproduttivo, ecc., in pagine che magari sono anche blandamente divertenti ma che di sicuro non fanno progredire l’indagine?

Innanzi tutto, va fatta una precisazione: il libro prende in considerazione solo gli albi a fumetti originali dei puffi, quelli firmati dal disegnatore belga Peyo dal 1963 al 1992, e non quelli postumi curati dal figlio dell’autore o il celebre cartone animato, che è poi il mezzo con cui io ho imparato a conoscere i puffi.

Interessanti i passi in cui si rileva che la società dei puffi è un’utopia chiusa in cui l’insoddisfazione è vista come “devianza”e in cui l’iniziativa individuale è malvista e scoraggiata e il singolo “scompare” in una massa indistinta, e tutti sono classificati solo in base alla propria funzione sociale (il puffo poeta, il puffo pittore, il puffo cuoco), ma quando la si avvicina allo stalinismo perché Grande Puffo somiglia sia a Marx sia a Stalin (tra l’altro il secondo mica aveva la barba) e veste di rosso, oppure Quattrocchi a Trotsky perché è antipatico e porta gli occhiali, mi sembrano accostamenti fatti più per ridere. Quanto poi all’accusa di nazismo rivolta ai puffi, le prove che si portano a carico sembrano più adattarsi all’ideologia “volkish” e conservatrice da cui, certo, il nazismo attinse, più che all’hitlerismo vero e proprio.

Il libro insomma è interessante e utile per le nozioni basilari sulle società totalitarie che ripercorre (citando Weber e Arendt) e riepiloga, non tanto perché poi le rapporta alla società dei puffi; allora, meglio la postfazione di Roberto Revello, che approfondisce l’analisi di Buéno: i puffi sono stati concepiti tenendo in mente (in modo consapevole o solo inconsciamente) gli ideali di stalinismo e nazismo, o piuttosto secondo un ideale archetipico di civiltà da cui in precedenza attinsero anche stalinismo e nazismo? E quindi: la “tentazione” del totalitarismo, alcuni aspetti della visione del mondo che propone, continua a sembrarci attraente a livello di subconscio? Semmai, secondo Revello, è più utile e più inquietante rovesciare il discorso, e domandarsi come mai i regimi totalitari novecenteschi avessero tanto in comune con un mondo di esserini blu creati per il divertimento dei bambini, più che il contrario, perché poi si rischia come al solito di sovraccaricare un oggetto di interpretazioni indebite.

Nel testo ci sono, ahimè, svariati errori, alcuni più gravi (a p. 29 non si sa se imputare all’autore o al traduttore questa imprecisione: l’espressione inglese “once in a blue moon” è l’equivalente del nostro “una volta ogni morte di papa”, non vuol dire “c’era una volta”; a p. 54, invece, la responsabilità è certamente del traduttore: come mai, per rendere un termine francese che indica un “guaritore”, un esperto di rimedi a piccoli malanni ma non un medico professionista, si usa “azzeccagarbugli”, che non c’entra assolutamente nulla e vuol dire tutt’altro?), la maggior parte piccoli ma fastidiosi refusi: il libretto però è di neanche 150 pagine, non 500, francamente si potevano anche evitare.

Antoine Buéno, Il libro nero dei puffi (trad. Ilaria Gremizzi), voto = 2,5/5

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