Sorprendentemente, il tema di questo saggio, Furta sacra. La trafugazione delle reliquie nel Medioevo, risulta ancora attualissimo, a giudicare dalle notizie di questi giorni…
E va beh, ho voluto esordire con una battuta ad effetto, ma in realtà i confronti fra la cronaca di oggi e i furti di reliquie nel Medioevo sono improbabili: tanto per cominciare, all’epoca, a scassinare tombe e reliquiari e a portarsi via ossa e corpi erano spesso uomini di Chiesa, e tali furti erano celebrati e approvati dalla comunità e ampiamente pubblicizzati!
Un’altra occasione, dopo Image on the Edge, per scoprire un Medioevo molto meno “paludato” di quanto si immagini, e molto più disinvolto in materia di religione, tanto da suonare quasi scandaloso alle nostre orecchie. Per dirlo in modo più corretto, un altro esempio di come la sensibilità religiosa di allora si esprimesse in modo molto diverso.
L’importanza e il valore delle reliquie nel Medioevo sono ben noti, e Geary lo sottolinea soprattutto in relazione al periodo preso in esame, i secoli IX-XI, il cosiddetto Medioevo centrale, in cui il culto delle reliquie dei santi divenne tanto pervasivo che sembra addirittura offuscare, talvolta, la stessa devozione a Cristo. La generale instabilità politica e sociale e le frequenti, concrete minacce alla sicurezza (in questi secoli l’Europa conobbe le incursioni di saraceni, Ungari, Normanni, oltre alla conflittualità endemica fra i nobili locali) furono i motivi più evidenti per cui piccole e grandi comunità monastiche o diocesi compivano grandi sforzi per procurarsi protezione ultraterrena… senza trascurare naturalmente il prestigio dovuto al possesso della reliquia di un santo famoso, o le prospettive di ricavi economici se il santo attirava pellegrini alla sua tomba.
Certamente era possibile procurarsi reliquie in modo “legale”, tramite donazioni o acquisti. Esisteva anzi un vero e proprio business del traffico di reliquie, per il quale l’autore ricorda soprattutto la figura del romano Deusdona, vissuto nel IX secolo, che con i fratelli aveva messo su proprio un’impresa “di famiglia”, prelevando la “merce” dalle catacombe romane, all’epoca in stato di semi-abbandono e incustodite, e ripiazzandola poi presso abati, re e nobili del Nord Europa, o addirittura lavorava su “commissione” accettando “ordinazioni” per questo o quel santo. Ma, paradossalmente, venire in possesso di una reliquia attraverso il “volgare” commercio era considerato quasi più “disonorevole” che rubarla; oltre ciò, la convinzione diffusa era che fidarsi dei trafficanti di reliquie di “professione” esponesse maggiormente al rischio di essere truffati e di acquistare reliquie false (contrariamente a quanto comunemente si pensa oggi, si cercava di fare accertamenti sull’autenticità delle reliquie, solo che spesso l’unico “metodo” veramente praticabile era una sorta di verifica ex post: se la reliquia dava luogo a miracoli, si poteva “ragionevolmente” concludere che fosse autentica).
Questo spiega perché talvolta le narrazioni riguardino furti in realtà mai avvenuti, immaginari: è chiaro infatti che ci si trova di fronte a testi che non possono essere letti come “cronache”, ma che appartengono a un preciso genere letterario. Più importante di stabilire se furto ci fu o se avvenne esattamente come ci viene raccontato (e, inutile dirlo, più importante di sapere se la tale reliquia fosse autentica o meno), è capire perché si sia formata questa “tradizione” cui poi via via ciascuno scrittore finì per uniformarsi e cercare la propria giustificazione.
Il “saccheggio” non sempre avveniva senza il consenso del “derubato”: interessante l’accenno di Geary al ruolo attivo, o quanto meno cosciente e forse accondiscendente, del papa, vescovo di Roma, di fronte allo “shopping” di resti provenienti dalle catacombe dei primi cristiani da parte di monaci franchi: in un’epoca in cui la supremazia del vescovo di Roma non era ancora un fatto pienamente accettato, tornava comodo al prestigio papale l’altissimo valore tributato alle reliquie dei primi martiri romani, “distribuite” ed esportate nel resto d’Europa.
Non erano solo le reliquie provenienti da Roma a essere particolarmente ambite, comunque: altri luoghi da cui venivano trafugate (o da cui si diceva fossero state trafugate, che, per i fini della ricerca, è lo stesso) erano l’impero bizantino, il Nord Africa e la Spagna (sotto la dominazione musulmana): gusto per l’esotico, nonché il vantaggio di chilometri di distanza che potevano impedire rivendicazioni o smentite.
Se nel Nord Europa al centro di questi traffici erano soprattutto potenti abati, sovrani e nobili, in Italia erano la comunità cittadine ad attivarsi per assicurare alla città il possesso di un qualche santo: celeberrimi i casi di Venezia con s. Marco e di Bari con s. Nicola, che infatti si rivelarono, in entrambi i casi, mosse azzeccatissime per le future fortune politiche, economiche e religiose delle due località.
Interessante anche il capitolo sulla percezione di questi atti (che, come detto, ai fini della ricerca non è importante se siano storicamente avvenuti o no, o avvenuti esattamente come ci sono stati tramandati) e su come essi venivano “giustificati”, secondo topoi che si ripetono più o meno uguali in tutte le fonti. Si può sintetizzare il “giudizio” della società dell’epoca con una formula apparentemente contraddittoria: i furti di reliquie erano sì illegali, ma non per questo erano considerati immorali. Attraverso l’analisi dei testi, si ricavano le giustificazioni tipiche del gesto: la volontà di offrire una sistemazione più dignitosa e più illustre o più sicura per le spoglie di un santo, la necessità di protezione avvertita dalla comunità, ma non ultimo anche la “volontà” stessa del santo-reliquia. La reliquia, infatti, lungi dall’essere un po’ di polvere e di ossa, o all’opposto un simbolo astratto del santo, era il santo stesso, quasi fosse ancora vivo, presente, dotato di volontà propria: per giustificare i furti, o al contrario per spiegare i tentativi non andati a buon fine, non è infrequente che si ricorra all’intervento diretto del santo che domanda lui stesso, attraverso sogni e visioni, di essere trasferito, o che si lascia o non si lascia portare via dal luogo in cui si trova sepolto.
È un libro curioso e interessante, ma non semplice o per tutti, comunque: specialmente nelle parti in cui si addentra in datazioni incerte e tradizioni di manoscritti è, inevitabilmente, molto tecnico.
Patrick J. Geary, Furta sacra. La trafugazione delle reliquie nel Medioevo (secoli IX-XI) (trad. Eugenia Fera), voto = 3,5/5