Quel che resta del giorno

Altre volte mi sono “preoccupata” (tra il serio e il faceto) di leggere solo “romanzacci”, di non leggere gli autori seri, colti, che fanno letteratura o “Literary Fiction”; è quindi un “sollievo” vedere che, invece, so apprezzare anche questo tipo di opere più impegnative, e anche molto.
Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro (autore dal nome giapponese, ma inglesissimo) viene da molti considerato un capolavoro, e io, da ieri, sono fra quelli.

La storia, anche grazie al film che ne è stato tratto, sarà forse già nota ai più: siamo negli anni Cinquanta (circa: o comunque poco dopo la guerra), in Inghilterra. Mr Stevens è l’irreprensibile, inappuntabile, affidabile e insostituibile maggiordomo della prestigiosa Darlington Hall. Il suo, più che un lavoro, è una missione: vive perché nella casa tutto si svolga secondo un meccanismo preciso come un orologio, è convinto che, con la sua specchiata professionalità, sta portando, nel suo piccolo, un importante contributo alla società, e ha dedicato molti dei suoi anni di servizio al precedente proprietario della magione, Lord Darlington appunto, che ancora ricorda con venerazione. Ma tante cose, ora, stanno cambiando: la dimora, dopo la guerra, è stata acquistata da un facoltoso americano, e non è facile, per Stevens, adattarsi subito alle sue “strane” esigenze (forse ci si aspetta persino che scambi qualche battuta scherzosa col suo padrone!), il personale si è molto ridotto, quasi tutto il carico di lavoro grava sulle spalle del nostro maggiordomo, che si accorge di compiere sempre più spesso inusuali, piccole distrazioni, mentre, sullo sfondo, dapprima in modo alquanto nebuloso e reticente, iniziano ad emergere due “grandi assenti” da tempo cui però il pensiero del protagonista continua curiosamente a tornare, il già citato Lord Darlington, e alcuni particolari non proprio chiari che lo riguardano, e soprattutto Miss Kenton, la ex governante di Darlington Hall…
Mr Stevens ha bisogno insomma di una piccola vacanza, gentilmente concessagli dal suo affabile padrone: quale modo migliore, allora, di sfruttare quei giorni liberi se non per far visita a Miss Kenton, ora Mrs Benn, con la quale, è bene ricordarlo, i rapporti sono sempre stati squisitamente professionali e che si è recentemente rifatta viva con lui per lettera, e chiederle se non voglia riprendere il suo posto, risolvendo così il piccolo problema dell’attuale carenza di personale?

Comincia così un viaggio di piacere verso la Cornovaglia, narrato in prima persona da Mr Stevens, in cui alle esperienze del giorno si sommano i tanti ricordi della vita passata a Darlington Hall, delle tante incombenze affrontate con meticolosità e rigore, di Lord Darlington e delle sue frequentazioni, e soprattutto di Miss Kenton, grazie ai quali affiorano sempre più alla superficie i tanti pezzi della personalità di questo personaggio, così chiuso, così imperscrutabile, così attento ad iper-analizzare ogni minimo dettaglio e a cogliere cosa ci si potrebbe aspettare da lui, ma anche così rigidamente imbevuto di autocontrollo e autodisciplina da non concedersi mai di far trapelare i suoi sentimenti e così tragicamente incapace di cogliere quelli di chi gli sta vicino. Questa figura, comunque, pur distante e spesso incomprensibile nel suo modo di pensare e di reagire, non diventa mai ridicola, una caricatura (pur essendoci comunque brani anche ironici e arguti, come l’esilarante incarico di spiegare al giovane Mr Carnaval “i fatti della vita”, o le elucubrazioni di Stevens sulla “questione battute spiritose”, se farle, quando farle, come farle).

Il viaggio, quindi, apre delle crepe nella calma e nella imperturbabilità di Stevens, che all’inizio sembravano inscalfibili, e rivela un uomo al centro di una “crisi” sia professionale sia personale, in cui molte delle sue certezze sono scosse, e forse è proprio la lontananza dalla “prigione” auto-imposta che per la prima volta lo rende in grado di riflettere in un modo che fino a quel momento non si era mai concesso.
Questa rivelazione comunque non avviene all’improvviso, la personalità viene disvelata in modo impercettibile e graduale, ed emerge soprattutto dalla scrittura dell’autore, che ne cesella il modo di parlare, sempre compìto e rigidamente elegante, ma anche sempre attento a costruire le frasi in modo circospetto, guardingo, cauto, preoccupato di non “esporsi” troppo, di non far trapelare più del necessario… Eppure, in modo obliquo, tra le righe, ogni tanto qualcosa scivola, qualcosa si lascia intuire, sfugge all’autocensura del finto scrivente, e si crede di cogliere il significato “vero” delle parole, ma l’io narrante è subito pronto a “mascherarlo”, a se stesso prima che ad altri, riferendole apparentemente ad altro, ad oggetti, attribuendo certi pensieri e certe sensazioni ad altri personaggi… E, mentre si avvicina il giorno dell’incontro con Miss Kenton e Stevens legge e rilegge la lettera della donna per sincerarsi che davvero vi sia scritto tutto quello che lui crede di avervi colto (e continua questo tema della comunicazione implicita, non detta, obliqua), questi involontari squarci si fanno più frequenti, e più dolorose e rivelatrici, meno “innocenti”, le memorie degli ultimi anni a Darlington Hall prima della guerra…

Preparatevi a piangere come fontane, come ho fatto io, perché la fine è straziante, anche se, per Stevens, dopo tutto “il giorno” non è ancora terminato e, anche se si realizza troppo tardi che tante occasioni sono ormai sfumate, si è sempre in tempo a sfruttarlo fino in fondo, per “quel che resta”.

Non “riesco” a dare 5/5 solo perché il massimo dei voti deve essere riservato a libri più unici che rari, da cui a malapena riesco a staccarmi, ma diciamo che, con questo capolavoro, più che a 4,5/5 siamo vicini a… 4,8, 4,9!

Kazuo Ishiguro, Quel che resta del giorno (trad. Maria Antonietta Saracino), voto = 4,5/5
Per acquistarlo on line

P.S. Per questo bellissimo libro sono venuta meno alla mia regola di “buon senso” meglio non vedere il film se ti è piaciuto il libro. Il fatto che, prima di leggerlo, mi fosse già nota (attraverso varie immagini) la trasposizione cinematografica e che i volti dei due famosi attori che interpretano i protagonisti, Anthony Hopkins (Mr Stevens) ed Emma Thompson (Miss Kenton), campeggiassero anche sulla copertina mi ha facilitato le cose, perché già durante la lettura avevo in mente loro nei panni dei due personaggi.
Devo dire, comunque, che il film (del 1993, regia di James Ivory) è sicuramente ben fatto e gli attori fantastici… ma il libro è un’altra cosa! 🙂 Vi sono alcuni tagli, alcune modifiche non minori ma tutto sommato accettabili, penso per “semplificare” la storia (ad es. vengono “fuse” in un’unica persona due figure che nel libro sono distinte, Mr Lewis e Mr Faraday), ma anche qualche cambiamento più importante che non approvo (dopo la prima lettera, Miss Kenton scrive ancora, mentre nel libro Mr Stevens era nell’incertezza più totale se il suo arrivo le avrebbe fatto piacere oppure no… Mr Stevens entra nella stanza di lei e la vede piangere, mentre nel libro rimane nel corridoio e per alcuni tesissimi secondi si chiede se entrare o no, poi rinuncia… e il finale è piuttosto diverso, meno “essenziale”, allungato con episodi trascurabili come il colloquio fra M.K. e il marito, e mi sembra molto più disperato e pessimista che nel libro), ma soprattutto si perde la prospettiva “centrata” su Stevens, è tutto molto “mostrato” e veloce, mentre nel libro il piacere stava nel vedere le cose esclusivamente attraverso i suoi occhi e riuscire a capire, “scavando” fra le sue parole, quello che c’era sotto, quello che non diceva. Sicuramente il linguaggio cinematografico ha alcune limitazioni rispetto al libro, questo poi era sicuramente difficile da tradurre in immagini, senza la “voce” del narratore, che era l’elemento fondamentale.

3 commenti

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3 risposte a “Quel che resta del giorno

  1. Seunanottedinvernounlettore

    A me è piaciuta la storia, così come il tema, ma in alcuni punti era veramente troppo prolisso, un invito all’abbandono…
    Se ti va di passare, l’ho recensito sul mio blog…
    Ciao 🙂

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