Meridiano di sangue

Questo è il libro scelto per il Gruppo di Lettura di dicembre di Goodreads Italia: io, che di McCarthy avevo letto soltanto, anni fa, Non è un paese per vecchi (uno dei primi post del blog, e questo spiega la brevità e lo scarso approfondimento della recensione: non avevo ancora affinato le doti di critico), ingenuamente mi aspettavo, alla maniera di quello, un crudo western con qualche tocco “alla Tarantino”, per usare una locuzione abusata (e in questo caso anche impropria, visto che il romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1985, è di molto precedente all’opera del regista), ma semplificatrice ed efficace per rendere l’idea di un certo stile e immaginario. In realtà sbagliavo di molto, perché il respiro qui è molto più ampio e le letture possibili molto più numerose.

Talmente “ingenuo” è stato il mio approccio al libro che inizialmente ho provato persino a leggerlo in lingua originale, ma… ho rinunciato dopo aver letto un misero 4% dell’intera opera, sopraffatta. In effetti non sarebbe stato per nulla facile, visti il tono altisonante, epico e “solenne” impiegato e il vocabolario ricchissimo dispiegato da McCarthy per rendere a pieno l’infinità varietà, l’immutabilità e l’imperturbabilità e la magnificenza dei paesaggi sterminati e incontaminati che i personaggi, piccoli e insignificanti in confronto agli elementi, attraversano: per la maggior parte del libro, infatti, seguiamo le peregrinazioni di un giovane di quindici anni entrato a far parte di una compagnia di mercenari e cacciatori di scalpi che, verso la metà dell’Ottocento, sono impegnati a combattere e seminare il terrore fra le popolazioni native degli immensi e selvaggi territori al confine fra gli Stati Uniti e il Messico, fra agguati, inseguimenti, stragi, violenze di ogni genere.

Tanto più per il paesaggio naturale il linguaggio si fa lirico e potente, quanto più nel descrivere le azioni umane invece si sottolineano la rozzezza, la bassezza, la primordialità. Colpisce la freddezza con cui i personaggi registrano la violenza che li circonda, che compiono in prima persona o che subiscono, come se fosse una componente ovvia e naturale della loro vita: lo stesso “ragazzo” senza nome, che è presente dall’inizio alla fine del romanzo (anche se è difficile, in un libro del genere, indicare un “protagonista”), è descritto solo tramite i gesti e le azioni che compie, le poche frasi che pronuncia, non lascia trasparire alcuna emozione, alcuna riflessione, come se negli eventi in cui viene trascinato fosse guidato da una sorte di sentimento fatalistico e ineluttabile, che non prevedono una sua libertà di scelta.

Ho impiegato quasi una ventina di giorni per finire questo libro, un tempo superiore alla media: in mezzo ci sono stati quattro giorni di viaggio, e questo non è un libro che si possa leggere in aereo o a pezzi e bocconi per “passare un po’ il tempo”. Ma, anche dopo essere tornata a casa, non ho proceduto a grande velocità perché, soprattutto nella parte centrale, l’impressione è davvero quella di essere, al pari dei personaggi, sperduti in mezzo a un enorme deserto sempre uguale in cui non si arriva mai a destinazione. L’intento dell’autore forse è anche quello, dare l’idea di brutalità che si ripetono ciclicamente sempre uguali con una frequenza che alla lunga “stordisce” e rende indifferenti… A metà romanzo però io ero effettivamente stanca: ho proseguito pensando che la fatica sarebbe stata ripagata, e infatti la parte finale scorre più velocemente. Comunque, per quanto la lettura sia appunto, almeno per me, faticosissima… in alcuni punti rimani come abbacinato e sei “sospinto” dalla pura bellezza della prosa: magari se ci si distrae anche un attimo il senso della frase già sfugge, però non importa, per così dire, hai comunque la sensazione di essere cullato da una voce che ti porta lontano e sa padroneggiare panorami immensi, come una sorta di epica antica; e quella che ho letto io non è che la traduzione, per cui suppongo che, a saperla apprezzare, la versione originale “suoni” ancora meglio alle orecchie.

Meridiano di sangue è dunque un interminabile e per lo più silenzioso pellegrinaggio, non verso la salvezza, ma verso l’annullamento, una sanguinaria “cavalcata infernale” dove si va avanti senza una meta e senza troppe domande, si uccide, si è uccisi; verso la fine però, paradossalmente, sono loro stessi, il ragazzo e i suoi compagni superstiti, che fino a quel momento hanno lasciato dietro di sé solo morte e distruzione, a essere braccati, dalla misteriosa e demoniaca figura del giudice, che li ha accompagnati e guidati fino a quel momento e che forse incarna semplicemente il male e la violenza che permeano quei luoghi (ma non solo), quell’epoca (ma non solo). Una cavalcata che quindi finisce per assomigliare a una fuga, senza riuscirsi mai a fermare in questo viaggio, oppure, per usare l’ultima immagine del libro, in questa danza selvaggia.

Non riesco a dire se mi sia piaciuto o no: ripeto, la lettura non è un’esperienza piacevole, bensì lenta e faticosa, esige la massima attenzione. Diciamo che l’ho ammirato.

Cormac McCarthy, Meridiano di sangue (trad. Raul Montanari), voto = 3/5
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2 commenti

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2 risposte a “Meridiano di sangue

  1. cartaresistente

    La storia dei cacciatori di scalpi è basata su fatti realmente accaduti, che avvalora il realismo di McCarthy, uno dei migliori scrittori americani “in circolazione.”

  2. Pingback: La strada | libri ... e basta

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