Bollettino di guerra

Bollettino di guerra, di Edlef Köppen, è un romanzo uscito nel 1930 ma andato colpevolmente dimenticato, anche a causa della condanna che gli riservarono i nazisti, e rimasto finora inedito in Italia. Ne lessi una recensione sul Corriere della Sera a marzo.
Un giovane volontario tedesco, Adolf Reisiger, parte per il fronte nell’estate del 1914: finirà rinchiuso in un manicomio nel 1918 per aver sperimentato sulla sua pelle quei quattro anni di orrori e aver deciso infine di chiamarsi fuori:

“… ho dichiarato con tutto l’ardore, a tutti i medici: signori, posso loro giurare che non sono pazzo. E che nemmeno faccio finta di essere pazzo. – Io dichiaro loro, sulla mia stessa vita: so quel che dico e quel che faccio: non si tratta nient’altro che di dire: io, io, io non ci sto più a fare la guerra. Non ci sto più a fare la guerra. […] Io continuo a consigliare loro: mi si fucili. Applichino su di me le loro ridicole leggi di guerra, e mi si fucili, una buona volta. Ma io non ci sto più. Non voglio più essere complice. Ne va di più che della vittoria, alla quale peraltro anche loro ormai credono poco. Si tratta del fatto che in ogni istante vengono ancora ammazzate, e massacrate, e mutilate delle persone – e per quale motivo? Per un’assurdità, perché non possiamo più vincere. Là fuori ci siamo battuti per anni come nessun altro esercito al mondo, abbiamo creduto a tutto, anche quando dicevamo di no. Adesso però basta. Io non ci sto più. Io non ci sto più.” (pp. 389-390, sono le pagine finali del libro).

In realtà, dietro la vicenda di Adolf Reisiger è da vedere quella dello stesso Edlef Köppen (1893-1939), perché il romanzo è fortemente autobiografico: leggendo la postfazione all’opera di Jens Malte Fischer, ho provato una grande ammirazione e fascinazione per questa grande personalità, e mi sono affrettata a crearne la voce su Wikipedia.
Leggete questo libro perché è veramente criminale che un capolavoro simile rimanga ancora sconosciuto a quasi 80 anni dalla sua pubblicazione. Uno dei suoi pregi è fondere pagine di azione narrativa con documenti, bollettini del comando, articoli di giornale dell’epoca, che il più delle volte fanno uno stridente ed eloquente contrasto con l’orribile realtà di fronte agli occhi di Reisiger/Köppen. Lo stile è asciutto, duro, toccante senza mai ricorrere al sentimentalismo o alla retorica.

Sarebbero parecchie le citazioni meritevoli, ma ho scelto questa, molto bella (p. 201):

ANNOTAZIONE DAL DIARIO DEL SOTTUFFICIALE REISIGER



Nella notte fra il 31.12 e l’1.1.’16, alle dodici in punto, tutte le batterie tedesche, per quanto potei sentire, hanno sparato tre scariche contro il nemico. – Il nemico non ha risposto.

Vorrei sapere chi ha dato quell’ordine. Nella batteria c’è una tale rabbia verso quel miserabile, come non ne avevo mai vista prima. È una pura e semplice schifezza. Avevamo le lacrime agli occhi. Pian piano abbiamo smesso di essere bambini piccoli, e sparare è senza dubbio il nostro mestiere, poiché siamo in guerra. Ma che ci toccasse di iniziare così il nuovo anno è stato crudele. Perché abbiamo fatto fuoco? Contro chi, per l’amor di Dio? Se andiamo avanti così, a sparare semplicemente per il puro desiderio dei botti, senza un obiettivo, senza “nemico”, senza (dovrei vergognarmi, di dire “legittimazione”?)… perché qualche imboscato si è inventato questo saluto di buon anno particolarmente originale – allora la cosa prima o poi arriverà a una conclusione che non ci piacerà affatto. – Ma sono un soldato, e devo tenere la bocca chiusa.

Edlef Köppen, Bollettino di guerra (trad. Luca Vitali), voto = 4,5/5
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