Così parlò Ménétra

Io e Jacques-Louis Ménétra, un vetraio parigino vissuto nel XVIII secolo, ci siamo incontrati per la prima volta nel 2001, sulle pagine del terzo volume dell’opera Vita privata: quel libro l’ho letto dall’inizio alla fine solo nel 2010, ma già subito dopo l’acquisto ero talmente “innamorata” di quei volumetti dal ricco apparato di immagini e che promettevano di essere tanto interessanti, che ero solita sfogliarli e leggiucchiarvi qua e là. Insomma è da lì che ho sentito parlare per la prima volta di Samuel Pepys e, appunto, di Ménétra*, perché entrambi furono autori di due diari intimi (ecco perché la loro presenza in un saggio dedicato alla storia della vita privata): disperavo di trovare mai un’edizione italiana del suo Diario, e invece l’ho acquistata qualche anno fa per corrispondenza dalla Libreria Chiari di Firenze (vende libri rari ed esauriti, una volta avevano anche un sito, ora non riesco più ad aprirlo e questo mi lascia un po’ inquieta sulla sorte di questa libreria).

Se quello di Pepys è molto più famoso, il Diario dell’oscuro vetraio di Parigi è molto più “straordinario”, perché scritto da un esponente di una categoria, quella degli artigiani e del popolo minuto, che raramente prendeva la penna in mano, e mai per raccontarsi. E invece Ménétra, verso la fine della sua vita (nel 1802?), non si capisce bene per quale pubblico, mette nero su bianco, pagina dopo pagina (a quanto pare, deve essere stata un’impresa decifrare il manoscritto, col testo tutto di seguito, non sempre in un francese corretto, senza paragrafi e senza punteggiatura!), la sua vita, le sue esperienze, i suoi viaggi in giro per la Francia ad imparare il mestiere, i suoi amori, il suo matrimonio, la sua famiglia.

Insomma, la sua biografia per mille aspetti non ha nulla di eccezionale, ma Ménétra un po’ “speciale” lo è davvero, per questo documento particolarissimo che ci ha lasciato, così come tanti altri suoi abbozzi di scritti/trattati/riflessioni su vari argomenti, ritrovati fortunosamente dallo storico Daniel Roche. Come quest’ultimo dice nell’Introduzione, all’epoca non doveva essere un gesto banale, per questa categoria di persone, anche dal punto di vista strettamente materiale, prendersi così tanto tempo per sé, per questo lavoro di memoria e autoanalisi, e per l’impresa non indifferente di metterlo per iscritto con ammirabile costanza. Di nuovo si affaccia il grande dubbio insolubile dello storico: quella di Ménétra è l’eccezione fortunosamente giunta fino a noi, o la punta di un iceberg di chissà quante altre testimonianze andate irrimediabilmente perdute?

In questo volume si trova l’edizione integrale del solo Diario, non degli altri scritti sulla religione, sulla Rivoluzione, sulla politica, eccetera. Non dirò che si tratta di una lettura “scorrevole” perché in effetti gli episodi e gli aneddoti narrati da Ménétra sono affastellati uno dietro l’altro, non connessi fra loro, inconcludenti o scritti in modo talmente ellittico da essere talvolta incomprensibili, e quindi il piacere “superficiale” che si ricava da questo libro, più che il gusto della narrazione di “una vita”, sono questi rapidissimi quadretti o scenette, di volta in volta ironici, divertenti o oltraggiosi: è consigliabile leggere un po’, fermarsi e poi riprendere, altrimenti si rischia di non cogliere nulla in mezzo a un guazzabuglio da cui si esce sopraffatti. Confesso che, stuzzicata dai passi antologizzati nel volume sulla vita privata, mi aspettavo un “racconto” più accattivante, e non una lunga carrellata di scappatelle e avventure erotiche spesso fra loro sempre uguali e un po’ confuse; non è neppure che Ménétra ne esca sempre in un’ottima luce (si fa voler bene e sa sedurre il suo pubblico, è una natura vitalissima, allegro, sempre attivo, non sta mai fermo, curioso, intelligente, ma ad esempio tratta le sue numerose donne in modo orribile: le inganna, le abbandona, le prende, qualcuna anche a forza e le getta via). Insomma, Jacques-Louis non è granché come scrittore, ma come sempre in questo tipo di letture è più affascinante, almeno per lo storico, cogliere il “contorno” e il non detto, più il significato palese dei testi. Ad esempio, quello che colpisce, al di là delle onnipresenti avventure erotiche, è la sensazione di una certa “brutalità” nei rapporti interpersonali, anche fra familiari e parenti prossimi; oppure un aspetto che non credevo mi avrebbe tanto interessanto, e cioè il mondo del lavoro e delle corporazioni artigiane e le loro regole; si colgono qua e là importanti segnali sulla cultura di Ménétra, sui testi su cui si è fondata la sua formazione, ma anche sulla sua insospettabile indipendenza di pensiero, sulla sua religiosità personale e la sua visione del mondo. Interessanti, infine, le pagine dedicate al periodo della Rivoluzione, non tanto per gli eventi narrati, per me confusissimi, quanto per l’atmosfera di costante tensione e agitazione che lasciano trasparire, specie negli anni del Terrore.

Dopo la lettura interessante ma difficoltosa del Diario vero e proprio, contavo molto sul saggio conclusivo del curatore, Daniel Roche, per avere un aiuto nell’analisi: ebbene, purtroppo sono rimasta un po’ delusa (se si escludono i passi dedicati ai temi che accennavo sopra). Tanto fumo e poco arrosto, per sintetizzare tutto con un’espressione sbrigativa. Così come l’introduzione, lo stile mi è sembrato ellittico, poco chiaro, “impressionistico”, forniva qua e là delle pennellate di colore ma poca “sostanza”. Dall’alto della mia autorità, pari allo zero assoluto, mi azzardo a criticare Roche, che sicuramente sarà un accademico rispettatissimo in Francia, dicendo che, come sempre in questo tipo di fonti, c’è il rischio di “assolutizzare” una testimonianza che è a suo modo unica e “speciale”, o al contrario di limitarsi a trovarvi semplicemente conferme di notizie ricavate altrimenti e che, bene o male, come dire, si sapevano. Inoltre, ma di questo non posso “incolpare” Roche, o non solo lui, i riferimenti ai passi del Diario in nota rimandavano alle carte del manoscritto, non ai numeri di pagina dell’edizione: a che serve? Se voglio ritrovare il brano che viene citato, oltre tutto in un testo come questo, senza divisione in capitoli o paragrafi, non è che posso ogni volta andare a Parigi a consultare l’originale (come mi disse il professore al momento di pubblicare la mia tesi, che era anch’essa l’edizione di un manoscritto, perché avevo fatto proprio quest’errore, “allora che la facciamo a fare, l’edizione?”).

Così parlò Ménétra, a cura di Daniel Roche (trad. Lorenzo Bianchi), voto = 3/5
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* Ero più che convinta, poi, che il nome di Ménétra ricomparisse in un passo di un bel libro di Giovanni Ricci, Il principe e la morte (il Mulino, 1998), quando parla dell’esumazione delle salme dei re di Francia sepolti a Saint-Denis da parte del popolo parigino nel 1793 (pp. 65-66), ma ho ricontrollato in questi giorni e ho scoperto che invece ricordavo male.

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