Atlante delle isole remote

Il motivo “immediato” per cui ho iniziato questo libro è abbastanza “triviale”: mi serviva un libro veloce da leggere, con tante figure, per “recuperare” sulla Reading Challenge annuale in cui sono terribilmente “indietro”. In realtà però, a pensarci bene, la scelta di Atlante delle isole remote (sottotitolo Cinquanta isole dove non sono mai stata e mai andrò), sia pure dettata dalle contingenze, si inserisce bene nel filone delle letture più recenti. Con The Fatal Shore ha in comune il tema del viaggio in terre lontanissime e sperdute (e l’isola-prigione di Norfolk Island è una delle cinquanta qui descritte), e ricorda alcuni brani di Breve storia di (quasi) tutto relativi alle isole incontaminate meta di viaggi di ricerca di scienziati e ricercatori, nonché alle tristi storie di specie estinte non appena l’uomo vi mise piede.

Bella l’introduzione, in cui l’autrice racconta della sua fascinazione per le carte geografiche e della possibilità, grazie ad esse, di fare tanti “viaggi” mentali, dell’attrazione per la “marginalità” delle isole più lontane, spesso “accatastate” ai margini, senza tener conto della reale posizione, accanto alla grande mappa della madrepatria, e menziona alcuni degli inquieti personaggi che poi torneranno nel corso del libro, solitari avventurieri alla ricerca di posti in cui non c’è “niente”, oppure naufraghi ingegnosi (Alexander Selkirk, la cui storia servì d’ispirazione al romanzo di Defoe Robinson Crusoe: curiosamente, esiste un’isola di nome Robinson Crusoe, ma… non è quella su cui naufragò Selkirk!) o disperati. Bello anche l’accenno alla “doppia natura” di questi luoghi quasi mitici: se per alcuni la loro inaccessibilità e la loro lontananza dalla civiltà evoca l’idea di paradiso incontaminato, la storia di alcune di queste isole mostra che possono assumere anche le sembianze dell’inferno: tanti episodi di violenza e di follia che lo spazio “concentrato”, da cui è impossibile fuggire, amplifica all’ennesima potenza, l’isola diventa quasi un “teatro”, un vero e proprio spazio limitato come un palcoscenico dove tutte le bizzarrie, le miserie e le assurdità umane, non potendosi “disperdere” e “diluire” come fanno sulla terraferma, vanno in scena (“Mentre l’assurdità della realtà si disperde nella vastità dei grandi continenti e viene così relativizzata, sull’isola essa è evidente. L’isola è uno spazio teatrale: tutto quello che accade qui, si concentra quasi inevitabilmente in storie, drammi da camera, diventa materia letteraria”).

Si parte quindi per questo viaggio “impossibile” fra gli oceani del mondo, dai poli all’equatore, dalle gelide isole coperte di ghiacci ai minuscoli e sabbiosi atolli dei Tropici, alla scoperta di “micromondi” talmente lontani e isolati da sembrare quasi… pianetini sperduti nello spazio profondo. A ciascuna isola è dedicato un capitolo di due pagine, in quella di sinistra viene mostrata con chiarezza la collocazione sul mappamondo e viene presentata una serie di dati, comprensibili anche ai non esperti: abitanti (in molti casi si tratta piuttosto di abitatori temporanei, più che veri e propri residenti, alcune isole invece sono del tutto disabitate), la distanza in chilometri dalle terre emerse più vicine (si fa per dire “vicine”, spesso sono a migliaia di chilometri), una cronologia degli eventi più importanti nella storia dell’isola (spesso assai povera di avvenimenti), e segue quindi un breve testo, che spesso si limita solo ad evocare aneddoti, personaggi, o a descrivere il paesaggio. Nella pagina di destra si può vedere la mappa, credo realizzata dalla stessa autrice. Alcune isole sono più note: certo tutti abbiamo sentito parlare di Rapa Nui, l’Isola di Pasqua, o di Pitcairn, dove si rifugiarono gli ammutinati del Bounty, o di Sant’Elena, luogo dell’ultimo esilio di Napoleone; altre invece sono più misteriose ma le loro storie non sono meno affascinanti o inquietanti: Floreana, dove negli anni trenta del XX secolo si stabilì una coppia di novelli “Adamo ed Eva”, Friedrich Ritter e Dore Strauch, Tristan da Cunha, dove nel XIX secolo una comunità di scozzesi cercò di creare l’utopia della perfetta “società degli uguali”, St. Kilda, in cui tutti i bambini morivano di una misteriosa malattia a pochi giorni dalla nascita, Rapa Iti, dove il francese Marc Liblin trovò finalmente le uniche persone in grado di capire la lingua sconosciuta che, inspiegabilmente, sapeva parlare fin dalla nascita, Saint Paul, dove nell’Ottocento gli unici abitanti erano una strana coppia di francesi, “il governatore” e “il sudddito”… Spesso le mappe raffigurano sottilissime strisce di terra quasi “impalpabili”, che sembrano a un passo dall’essere sommerse dalle acque.

L’autrice non dà mai più che un veloce ritratto “impressionistico” di ciascuna isola, lo scopo infatti non è tanto informativo quanto evocativo: se si è interessati a maggiori dettagli, è meglio rivolgersi altrove. Un suggerimento per chi volesse approfondire: l’incapacità di vedere i colori degli abitanti dell’isola di Pingelap mi ha fatto venire in mente un libro di Oliver Sacks… e difatti è proprio di loro che parla il suo saggio L’isola dei senza colore.

Sulla mia copia, usata, in fondo c’è un’annotazione “criptica” del precedente possessore: “50 posti dove un presidente serio potrebbe ritirarsi e fondare uno Stato” (?).

Judith Schalansky, Atlante delle isole remote (trad. Francesca Gabelli), voto = 4/5

2 commenti

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2 risposte a “Atlante delle isole remote

  1. Fantastico il commento del precedente possessore! 😀 E’ un libro che avrei voluto leggere appena adocchiato in libreria…io adoro le cartine e un libro fatto di mappe di isole è una goduria assoluta.

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