Stecchiti

Dico la verità, mi aspettavo qualcosa di diverso. Per quanto riguarda l’oggetto della ricerca, innanzi tutto: pensavo riguardasse le diverse modalità con cui le società umane hanno guardato all’oggetto “cadavere”, come l’hanno trattato, similmente al saggio, già letto in precedenza, Resti di umanità, di Adriano Favole. Invece, qui lo scopo è più ristretto, e cioè gli usi che la scienza può trovare per i cadaveri umani, come questi possono essere impiegati nella ricerca, non solo medica (vedi più avanti). Oltre al presente, in cui ovviamente l’uso è regolato e chiaramente limitato ai cadaveri espressamente donati alla scienza secondo la volontà del defunto, non manca uno sguardo anche al passato e ai sistemi molto più “liberi”, per i nostri standard, degli scienziati di una volta.

Niente di male, comunque: il problema non è stato certo questo, perché l’argomento si è rivelato assai interessante. Il problema è che mi aspettavo anche qualcosa di più serio. Divulgativo, certo, ma serio. Invece qui l’autrice, la giornalista Mary Roach, nel raccontare le varie tappe della sua inchiesta, usa un tono esageratamente umoristico, vuol farci sbellicare dalle risate… Certo, mi si dirà che tutto ciò è assolutamente calcolato, serve a esorcizzare un tema che per tanti è repellente, disgustoso, terrificante, tabù. Che il saggio è destinato al grande pubblico, e un’esposizione fredda e seriosa avrebbe respinto i lettori; è chiaro che le risate e le battute sono un “vaccino” di fronte alla crudezza e alla violenza di certi temi o immagini: chi avrebbe mai desiderato di leggere un libro sugli squartamenti di cadaveri scritto in modo tetro e impersonale? Ma io resto poco convinta. Anche Sacks, in Hallucinations, faceva divulgazione, e anche lui su un argomento potenzialmente inquietante e spaventoso per il lettore “medio”, ma non sentiva il bisogno di “alleggerire” di continuo il discorso con le battutine. Se c’è una cosa che non mi fa ridere, è un libro che a ogni piè sospinto mi dia di gomito e mi strizzi l’occhio con l’aria di dire “ah ah, hai visto quanto sono divertente?”. Senza contare che Stecchiti rischia di trasformarsi da “libro che parla di cadaveri” in “libro che parla di Mary Roach che indaga sui cadaveri“. La figura dell’autrice, lungi dallo scomparire in modo neutro dietro l’oggetto della sua ricerca, domina incontrastata le pagine, probabilmente sempre nell’intento di “umanizzare” la materia, di presentare le sue reazioni come quelle che tanti suoi lettori, tu e io, le persone “normali”, avrebbero di fronte a certi spettacoli. Ma, quando è troppo, è troppo: Mary Roach, scansati un attimo dal centro dell’inquadratura, starei cercando anche di imparare qualcosa, non solo di leggere di te e delle tue avventure in giro per l’America e il mondo per scrivere questo saggio.

Spiegati i motivi per cui non mi sono innamorata follemente di questo libro come la maggior parte dei suoi lettori, ciò non toglie comunque che l’argomento sia interessante e affrontato da molteplici punti di vista. Infatti in genere per superare il fastidio leggevo rapidamente i passi in cui l’autrice fa la simpatica e cercavo di concentrarmi su quelli più informativi. Tutti sappiamo dell’importanza della donazione degli organi. Un altro uso di un cadavere donato alla scienza che il profano non fatica a immaginare è per gli studi di anatomia: dissezioni di cadaveri e “teatri anatomici” sono argomenti consueti della storia della medicina (erano al centro anche del bel saggio The Italian Boy, di Sarah Wise). Ma forse i più non immaginano che i chirurghi plastici si impratichiscono, per gli interventi di ricostruzione facciale, su teste decapitate; che per la medicina legale sono molto importanti le ricerche che studiano le varie fasi di decomposizione (saperle identificare aiuta a stabilire il momento della morte); che nella costruzione di automobili ci si basa anche su crash test effettuati non con i classici manichini, ma con cadaveri; che, sembrerà paradossale, gli stessi fabbricanti di armi e l’esercito ne hanno bisogno (allo scopo di creare proiettili che raggiungano l’obiettivo di arrestare un nemico che costituisce una minaccia, ma possibilmente senza ucciderlo); che “ingredienti” provenienti dai cadaveri sono stati alla base di tanti preparati medici del passato. E, nonostante si senta “in obbligo” di bombardarci di battute che, con me, hanno avuto l’effetto di appesantire il testo, più che alleggerirlo, nonostante la profonda antipatia che mi hanno suscitato lei e la sua chiacchiera e la sua mania di protagonismo, e il desiderio di non prendere più, per un bel pezzo almeno, un suo libro in mano, l’autrice riesce, alla fin fine, a trasmettere la passione dei tanti scienziati “mattacchioni”, il fascino della ricerca scientifica, che non si stanca mai di cercare soluzioni nuove, che vede opportunità di scoperta e di conoscenza dove i più vedono un punto senza ritorno, e uno strano debito di “riconoscenza” verso… i cadaveri dei tanti anonimi donatori.

Infatti, se si è in grado di sorvolare sull’aneddotica, sulle battute a mitraglietta e sulle digressioni che non c’entrano nulla, le parti del libro che “funzionano” di più sono sicuramente quelle in cui l’autrice riferisce di esperimenti visti in prima persona. Gli excursus storici sono abbastanza dilettanteschi, ma c’è una bibliografia per chi volesse approfondire.
C’è un erroraccio nella traduzione: a p. 30, si parla dell’impiccagione del noto assassino e ladro di cadaveri Burke, la cui salma, si legge, “in un delizioso episodio di poesia giuridica … fu, secondo quanto previsto dalla legge, sezionata”. “Poesia giuridica” è un’espressione del tutto priva di senso in italiano, che ho immediatamente individuato come una traduzione errata dell’originale poetic justice, e cioè giustizia poetica (ne ho avuto conferma da una persona che possiede il libro in inglese)! A p. 47 abbiamo “Ron a cominciato a non vedere l’ora che me ne andassi”, col verbo “avere” senza la h. A p. 76 “io un’occhiata”, ma l’accento non ci vuole. A p. 88 “Un altro modo in cui i cadaveri posso essere d’aiuto”. Da p. 175 si comincia a citare un’opera di medicina tradizionale cinese col titolo Chinese Materia Medica, con uno strano miscuglio di inglese e latino (si tratta di questo compendio del XVI secolo): in italiano forse sarebbe stato meglio scrivere “Compendio di Materia medica”? Su questo non sono sicura, ma certo Chinese Materia Medica suona quanto meno strano. Insomma, edizione italiana che sembra poco curata.

Mary Roach, Stecchiti. Le vite curiose dei cadaveri (trad. Michela Volante), voto = 3/5

P.S. I passi più stomachevoli e dolorosi, comunque, non sono certo le descrizioni dei test sui cadaveri, bensì quelle degli esperimenti condotti su animali vivi (quando l’uso dei cadaveri è o era vietato, o non sarebbe stato utile per lo scopo dell’esperimento; preciso inoltre che spesso si parla di esperimenti condotti in epoche in cui ancora ben poco ci si preoccupava di limitare la sofferenza dell’animale): se siete sensibili a questi argomenti, sconsiglio di leggere questo libro.

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