The Italian Boy

This review is in Italian: if you wish to read an (automatic and, therefore, maybe poor) English translation of it, follow this link: Google TranslateHighlight the text to view hidden spoilers.

Dopo Vanity Fair, non riesco a “schiodarmi” dalla Londra di inizio ‘800! A dire il vero, dopo quel mattone (piacevolissimo, ma pur sempre un mattone!), non mi sarebbe dispiaciuto leggere qualcosa di leggero, breve e in italiano, ma non ho trovato nulla di “adatto” (pur avendo casa piena di libri! Ma se per un certo titolo non è arrivato il “momento giusto”, non c’è nulla da fare), perciò, fedele al proposito di leggere anche qualche saggio, ho iniziato questo The Italian Boy, che venne fuori dai “suggerimenti automatici” (basati sui libri presenti nella propria libreria) di Goodreads.
A una primissima impressione, dunque, visti anche i caratteri piccoli piccoli del testo, ho immaginato che sarebbe stata una lettura impegnativa e che mi avrebbe tenuta occupata vari giorni: niente di più sbagliato, è un saggio veramente ben fatto e appassionante, l’argomento, benché macabro (e i passaggi forti non mancano), è innegabilmente “stuzzicante”, tanto è vero che il libro l’ho finito in appena tre giorni.

Se si pensa ai “ladri di cadaveri”, che rifornivano illegalmente i teatri di anatomia (l’unico mezzo ufficialmente consentito di procurarsi cadaveri da dissezionare a scopo di studio era chiedere i corpi dei condannati alla pena capitale: ma, diminuendo col tempo le esecuzioni e aumentando gli studenti, ben presto questi non furono più abbastanza), viene subito in mente il caso più celebre, quello dei famigerati Burke e Hare di Edimburgo, che, nel 1827-28, ebbero l’idea di procurarsi autonomamente la “materia prima”: i due serial killer fecero 17 vittime prima di essere arrestati e processati, Burke venne impiccato, Hare, che accettò di tradire il complice e confessare in cambio dell’immunità, fu rilasciato e la sua fine è ignota. Il caso, all’epoca, destò un enorme scalpore e seminò il panico e l’odio popolare verso queste figure inquietanti ma non poi così insolite, i cosiddetti resurrection men, indispensabili per gli anatomisti, legati a doppio filo a quel commercio poco dignitoso e costantemente sul filo del ricatto.

Tuttavia, nonostante lo “scandalo Burke & Hare”, famoso e ispiratore di artisti e scrittori, fra cui Stevenson, poco cambiò nell’immediato relativamente ai mezzi con cui le scuole di anatomia si procuravano “soggetti”; il tanto atteso Anatomy Act del 1832 (l’atto con cui si destinavano alla scienza i corpi dei defunti senza familiari che li reclamassero, mettendo fine alla pratica dei furti di cadaveri) fu piuttosto dovuto, almeno in parte, a un altro caso, stavolta nel cuore dell’Impero, a Londra, che all’epoca infiammò l’opinione pubblica e che però oggi è quasi dimenticato: il caso del “ragazzo italiano”.

Nel novembre del 1831 tre individui, John Bishop, Thomas Head e James May, noti resurrection men, o trafugatori di cadaveri, cercarono di vendere agli addetti del King’s College il corpo di un ragazzino di circa 14 anni; l’aspetto del cadavere però era tale da dare adito a sospetti: era molto fresco e sembrava anzi non essere stato affatto sepolto. I tre vennero arrestati e sottoposti a un processo che per gli standard attuali aveva basi piuttosto fragili: tanto per cominciare, l’identità della vittima non fu mai accertata oltre ogni dubbio. Divenne nota come il povero “Italian boy” perché vari testimoni credettero di riconoscere il cadavere di un giovane mendicante italiano, Carlo Ferrari: inutile dire che il tocco di “esotismo” e “sentimentalismo” funzionò alla grande sulla stampa. Poco chiara, a causa delle insufficienti conoscenze mediche dell’epoca, anche la causa della morte; soprattutto, in un sistema in cui la colpevolezza dell’imputato si accertava praticamente solo tramite una confessione o una testimonianza oculare, quello che l’accusa riuscì a mettere insieme furono elementi sospetti ma pur sempre indiziari, fatti incriminanti (nel giardino della casa di Bishop vennero dissotterrati vari indumenti, ad esempio), testimonianze che collocavano in modo più o meno sicuro la presunta vittima nel quartiere dove vivevano due degli accusati, nonché ovviamente la sordida reputazione dei tre.
Ciò nonostante, questo bastò a convincere la giuria: Bishop, Head e May furono ritenuti colpevoli di omicidio e condannati a morte. Nei giorni precedenti l’esecuzione, comunque, Bishop e Head rilasciarono una confessione in cui ammettevano quello e altri due omicidi (di una povera donna e di un altro mendicante giovanissimo, sempre allo scopo di procurarsi cadaveri da vendere), scagionando però May che, a detta loro, nulla sapeva della provenienza del cadavere: May fu quindi graziato (non fu molto fortunato, comunque: morì poche settimane dopo sulla nave-prigione che avrebbe dovuto portarlo in Australia), gli altri due impiccati di fronte a una folla festante il 5 dicembre 1831 (e naturalmente i loro corpi furono subito messi a disposizione degli anatomisti).

Il saggio fa un’appassionante cronaca dell’antefatto, dell’arresto e del processo, dando conto delle incertezze e dei colpi di scena nelle indagini, delle reazioni dell’opinione pubblica, e tenendo fino all’ultimo in sospeso sull’esito della vicenda (e già così il lettore è contento), ma ovviamente non si limita a questo, traendone spunto per avventurarsi lungo svariate piste di ricerca.

La principale è il mondo criminale dei furti di cadaveri, la percezione di quest’atto nella mentalità dell’epoca, e anche una panoramica sullo stato della professione medica, e soprattutto sull’insegnamento della medicina, con un gran numero di istituzioni concorrenti, in un clima da “libero mercato” che lascia spazio all’iniziativa privata (ma rischia di apparire anche un po’ anarchico) e che ritiene sempre più strette e limitanti le regolazioni vigenti; la posizione dei medici era in effetti delicatissima e compromettente, sicuramente non del tutto “innocente” (tutti sapevano da dove venissero i corpi usati nelle autopsie, e l’equilibrio, sul filo del ricatto, fra resurrezionisti e anatomisti si fondava su un silenzio complice; in effetti il caso “Italian boy” fu singolare poiché la denuncia partì proprio da un medico, Richard Partridge). Gli stessi organi giudiziari, dando prova di una certa ipocrisia, usavano spesso un “occhio di riguardo” verso questi attori in questo commercio.

Le difficoltà nell’identificare la vittima suggeriscono poi alla storica riflessioni sulla nascente immagine della metropoli come luogo in cui è possibile essere risucchiati, perdersi, diventare perfettamente “anonimi” e invisibili, scomparire da un giorno all’altro senza che nessuno ci cerchi, o non sapere chi sia o cosa faccia il vicino che vediamo tutti i giorni e scoprire poi che è un assassino. Gli organi di governo di Londra cominciavano contemporaneamente ad affrontare anche il “problema” dei poveri il cui numero andava continuamente crescendo: Wise tenta di dare un quadro della miseria della città, nei suoi aspetti più disperati ma anche, al contrario, più “variopinti”, la vasta folla di personaggi “caratteristici”, spesso stranieri e in buon numero italiani, che si esibivano come “artisti di strada” per guadagnare qualcosa (la stessa presunta vittima, Carlo Ferrari, mostrava dei topolini bianchi in una gabbia), e che attirarono l’attenzione anche di celebri scrittori di epoca vittoriana come Dickens, nonché dei provvedimenti e delle istituzioni caritatevoli che cercarono di portare in qualche modo sollievo a questa fascia di popolazione, compatita ma forse più che altro temuta.

Lo svolgimento delle indagini consente di parlare anche della nuova, più moderna, forza di polizia che nacque proprio in quel periodo e che, non senza dover vincere una certa opposizione, gradualmente soppiantò le varie forme di sorveglianti e guardie, anche di natura privata, legate più che altro alla singola unità parrocchiale, che si occupavano, spesso male e dando adito a innumerevoli conflitti di competenze, di mantenere l’ordine in città, e della situazione nelle prigioni.

Interessante anche il capitolo sui primi provvedimenti contro i maltrattamenti sugli animali, ma… che c’entrava? A dirla tutta, sembrava materiale per un’altra ricerca che è stato inserito qui un po’ a forza (come “intermezzo”).

Ho trovato su Internet un’intervista all’autrice, Sarah Wise, in cui parla del libro. E poi ancora ecco la pagina di Wikipedia sugli “originali” Burke & Hare e quella sui “London Burkers”.

Sarah Wise, The Italian Boy, voto = 4/5
Per acquistarlo on line

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