Una stanza piena di gente

Il 27 ottobre 1977, a Columbus (Ohio), il giovane William Stanley Milligan, detto Billy, venne arrestato con l’accusa di aver stuprato e rapinato tre studentesse: egli sosteneva di non aver fatto nulla di male, ma le prove contro di lui (la refurtiva trovata nel suo appartamento, le testimonianze delle vittime) erano schiaccianti. Di lì a poco, però, una novità imprevedibile sconvolse gli esiti di un’indagine che sembrava scontata: dai colloqui con i suoi difensori e con gli psicologi emerse che nella mente di Billy “abitavano”, oltre a quella principale, ben 10 altre diverse personalità (o “persone”, come preferivano essere chiamate), e che quindi fosse possibile che, sebbene fosse sicuramente Milligan l’autore materiale dei reati, non ne fosse pienamente cosciente e consapevole e penalmente responsabile. Il caso suscitò immediatamente la curiosità e l’attenzione dell’opinione pubblica, dei politici, dei media, fin da subito si scatenarono polemiche tra chi si era convinto della fondatezza della diagnosi di un disturbo che era (e rimane) controverso e chi invece rimaneva scettico, sicuro che Milligan fosse soltanto un abilissimo simulatore, e si concluse con la prima assoluzione per infermità mentale in un processo per reati gravi nella storia giudiziaria degli Stati Uniti. La storia del paziente Milligan però non finì qui, anzi, cominciò per lui un lungo, doloroso e accidentato percorso per superare il suo problema: e fu nel corso della terapia che vennero fuori altre 13 personalità “indesiderabili” che fino ad allora erano state tenute ai margini e, finalmente, la somma di tutte le loro caratteristiche ed esperienze, di tutti i loro ricordi, chiamata il Maestro, grazie al quale lo scrittore Daniel Keyes, tramite una serie di interviste, ha potuto scrivere questo libro, uscito nel 1981.

Diamo per assodato (perché non conosco le ragioni dei contrari) che quella di Milligan non fosse una simulazione portata avanti con pervicacia per anni e anni. È un libro che sicuramente lascia sconvolti per una serie di motivi: primo fra tutti, la consapevolezza della potenza (quasi “mostruosa”) della mente umana, capace, per sfuggire a situazioni traumatiche e insostenibili (Milligan fa risalire l’origine del suo disturbo all’epoca della sua infanzia, ritenendolo una reazione verso gli abusi orribili subiti dal patrigno: poiché il bambino non poteva difendersi, “creò” una serie di personalità che prendessero il suo “posto” nei momenti di crisi). Chiaramente, qui sconfiniamo nella patologia, è un mezzo di “difesa” che, di fatto, ha distrutto la vita di Milligan: tuttavia, è, per così dire, “affascinante” (spaventoso? commovente?) vedere che per tutto dentro di noi esiste una logica, uno scopo, sia pure perverso, una valvola di sfogo.

Detto ciò, il libro è troppo lungo: la parte iniziale è la più avvincente, perché assistiamo alla graduale, sconvolgente scoperta del problema di Milligan dall’esterno, dall’ottica dei suoi avvocati e dei suoi medici, dei pubblici ministeri e dei giudici: davanti ai nostri occhi, all’improvviso, si presentano Arthur, l’inglese snob e intellettuale capace di governare le altre personalità e decidere chi di loro sia autorizzato a uscire allo scoperto, Ragen, lo iugoslavo violento e fisicamente potente che entra in azione nelle situazioni di rischio e pericolo, Allen, che invece è bravo a parlare e a interagire con la gente, David, il bambino la cui funzione è quella di accettare e assorbire il dolore degli altri, ecc. Bello anche leggere della tenacia e della dedizione dei legali e delle battaglie da loro sostenute per salvare il ragazzo dalla condanna: sono le fasi convulse delle indagini e del processo.

La parte centrale, invece, adotta un’ottica dall’interno: è il Maestro stesso a fornire il materiale allo scrittore, è grazie ai suoi resoconti che viene rievocata la vita di Milligan dall’infanzia al momento dell’arresto. Si parte in modo ugualmente forte: assistere alla “nascita” delle diverse personalità, ai motivi che le hanno rese “necessarie”, è molto interessante. Andando avanti, però, è faticoso capire quanto delle scene narrate provenga dai racconti del Maestro, quanto sia stato elaborato dall’autore: la materia narrata è talmente incredibile (e, purtroppo per il protagonista, tragicamente dolorosa) che pare assurdo, nonché crudelmente ingiusto, tacciare questo libro di inverosimiglianza; tuttavia, i dialoghi interiori tra questa e quella personalità suonavano talmente surreali, talmente perfetti anche nei loro, con rispetto parlando, “tempi comici”, che il contatto con la realtà finiva per perdersi. Ciò è probabilmente molto in tono con l’effettiva sensazione di scollegamento e confusione totale che “Billy” dovette vivere in quegli anni di continua alternanza e “possessione” da parte delle sue varie personalità, ma finisce per essere, per il lettore, vogliamo dirlo?, snervante e ripetitivo.

La parte finale è invece la più triste: assistiamo al continuo alternarsi di timidi progressi e tragiche regressioni nel percorso terapeutico di Milligan, ammiriamo commossi la pazienza, la forza, la costanza dei tanti medici che lo hanno avuto in cura, leggiamo con una certa pena dei mille ostacoli e delle difficoltà originate dall’ingerenza dei media, della politica, da una concezione di assistenza ai mentalmente infermi intesa esclusivamente in senso punitivo e reclusorio, che nel caso di Milligan, purtroppo, ha fatto danni devastanti. L’ultima postilla dell’autore, nel 1981, non si concludeva su una nota molto positiva: Milligan e i suoi avvocati erano impegnati in una estenuante battaglia legale per ottenere l’annullamento del provvedimento che ordinava il trasferimento del paziente in una struttura di massima sicurezza, nella quale egli aveva la certezza che non sarebbe stato curato a dovere (nelle lettere a Keyes la chiama “un luogo degli orrori”), e dove anzi in un colpo tutti i suoi progressi erano stati spazzati via, e il suo ritorno nell’ospedale psichiatrico in cui aveva trovato uno staff competente e solidale. Da allora, si viene a sapere da altre fonti (Wikipedia, un articolo del Columbus Dispatch del 28/10/2007) che Milligan è stato infine rilasciato nel 1988, ma, pur giudicato non più pericoloso e ormai guarito, non sembra, purtroppo, che la sua vita sia stata, in seguito, priva di problemi.

Daniel Keyes, Una stanza piena di gente (trad. Natalia Stabilini, Isabella C. Blum), voto = 3/5
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