La bottega degli errori

Ho impiegato qualche giorno per decidere quale libro iniziare dopo Ritratti famosi di comuni animali. Ne ho talmente tanti a casa (e un altro è in arrivo, se le Poste si svegliano) e nella Lista Dei Libri Da Leggere (la Madre di tutte le liste, dalla lunghezza spropositata, che non oso postare qui perché supereremmo il record di righe di pochi giorni fa), che è sempre un dramma sceglierne uno. Alla fine ho optato per un romanzo, anche se non mi piace il fatto che non abbia mai voglia di cimentarmi di nuovo con un saggio storico… Mi sembra quasi di rifuggire dal mio lavoro!
Comunque, dalla penultima spedizione dell’IBS avevo qui questo libretto (321 pagine, ma il libro è di formato piccolo e il carattere piuttosto grosso, quindi anche se l’ho letto in due giorni non sono un fenomeno): La bottega degli errori, di Douglas Lindsay. Il titolo italiano cerca fin troppo l’assonanza con il film La piccola bottega degli orrori, e ci può anche stare, vista la trama, però il titolo originale è molto diverso: The Long Midnight of Barney Thomson. Mi chiedo a volte perché non si traduca fedelmente sempre anche il titolo: in fin dei conti, l’ha dato l’Autore, no? Avrà pure un significato preciso nel contesto dell’opera.
Dell’autore, e del personaggio principale, Barney Thomson, misantropo barbiere di Glasgow, ho sentito parlare per la prima volta leggendo una recensione non proprio entusiasta del secondo romanzo della serie sul Corriere della Sera, che mi aveva fatto astenere dal comprarlo. E però… quel libro curioso continuava a tornarmi periodicamente in testa, anche perché la trama somigliava a un sogno un po’ inquietante che avevo fatto molto tempo prima, una specie de Il nome della rosa più truculento, con me che ero un monaco in un’abbazia in cui tutti venivano uccisi… Poi venni a sapere che un’altra “wikipediana” l’aveva letto, dandone un giudizio molto positivo e trovandolo assai divertente. Insomma, alla fin fine, ho deciso di dargli una chance comunque, a Douglas Lindsay: un libro senza storie d’amore e dai tratti grotteschi ma molto british non poteva essere del tutto cattivo! Visto che però era stupido iniziare dal secondo romanzo di Barney, nell’ordine ho incluso anche la sua prima avventura, appunto La bottega degli errori.

Devo dire che l’ho aspettavo diverso, ovvero mi aspettavo un romanzo in cui davvero il nonsense la facesse da padrone. Invece, pur nell’assurdità delle situazioni che si susseguono, la trama non diventa mai un “fumettone”, il povero Barney ha un’anima e anzi, ogni tanto, sembra di venire risucchiati in quest’atmosfera grigia e piovosa di una Glasgow in cui l’unico svago è andare al pub o vedersi la partita.
Ciò detto, comunque, si ride anche, o meglio, si sogghigna, grazie allo humor nerissimo e deliziosamente cattivo dell’autore, per non parlare della trama che, senza essere il capolavoro dei capolavori, ti sa avvincere (c’è un colpo di scena niente male verso la metà!). Di questa non posso dire molto, perché c’è il rischio di rovinare il gusto a chi volesse leggere il libro. In breve: a Glasgow, la polizia è sulle tracce di un misterioso serial killer che uccide e fa a pezzi le sue vittime, spedendo poi parti dei corpi ai parenti. Umnh. Nel frattempo, Barney Thomson, sulla quarantina, lavora come barbiere in una bottega con due suoi colleghi. È un uomo triste, ingrigito, scorbutico, solitario, non si sente per nulla apprezzato e trascina stancamente le giornate. Non è cattivo, ma detesta un po’ tutti, dai clienti alla moglie, e soprattutto i colleghi, con l’unica eccezione della sua mamma. Sarà proprio lei infatti ad aiutarlo quando, assolutamente senza alcuna intenzionalità da parte sua (è proprio questo il lato comico), si troverà seriamente nei guai… Basta. Lettura divertente. Ora naturalmente il prossimo libro è una scelta obbligata: Il monastero dei lunghi coltelli, dello stesso autore.

Douglas Lindsay, La bottega degli errori (trad. Marco Scaldini), voto = 3,5/5
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